“ Una giornata, quella di ieri, che gli operatori penitenziari di Genova Marassi difficilmente rimuoveranno dalla loro memoria. Una cella data alle fiamme da detenuti albanesi in seconda sezione terzo piano, verso le 22,30 ha movimentato la vita all’interno dell’istituto genovese. Per noi era stato sin troppo facile pronosticare che la palpabile tensione sarebbe sfociata in violenza - così il Segretario Regionale della UIL PA Polizia Penitenziaria, Fabio PAGANI , commenta l’ultimo di una serie incredibile di “eventi critici” verificatisi ieri a Genova Marassi
“ Alle 22,30 circa di ieri, dopo una accurata perquisizione straordinaria effettuata dalla Polizia Penitenziaria che ha portato al ritrovamento di un telefono cellulare all’interno di una camera detentiva occupata da violenti detenuti albanesi ( sei ) , al terzo piano della seconda sezione, gli stessi occupanti per protesta , hanno messo in atto una brutale protesta, dando fuoco alla cella e al corridoio del Piano , fiamme e fumo ovunque che solo grazie al pronto intervento dei poliziotti penitenziari si è scongiurato il peggio, traendo in salvo l’intero piano detentivo ”
“ Alle 17.00 di ieri a Marassi erano ristretti 710 detenuti, a fronte di una capienza massima di 450. Questo ammasso di persone, non può non alimentare tensioni ed aggressività che si manifestano con atti violenti, in ogni caso ingiustificabili. D’altro canto gli ultimi giorni di fuoco vissuti all’interno dei penitenziari impongono a tutti una riflessione responsabile. Sia ben chiaro che i nostri penitenziari sono sempre più terra di nessuno. Praterie di conquista dei violenti e dei boss che impongono regole e codici. D’altro canto è ben chiara l’impotenza degli agenti penitenziari chiamati a sorvegliare, da soli, centinaia di detenuti. Agenti che non possono contare su alcuna arma o mezzo di difesa e debbono, quindi, affidarsi ai soli mezzi di cui possono disporre : buon senso, tolleranza, arguzia, intelligenza, professionalità.
Vogliamo solo auspicare che non sia necessaria una immane tragedia perché il pendolo emotivo, che regola l’attenzione verso il carcere, faccia accendere i riflettori sulle degradate, incivili, illegali condizioni della detenzione e sulle infamanti condizioni di lavoro”.